Lolita (1962), emblematica pellicola tratta dall’omonimo romanzo di Vladimir Nabokov (anche sceneggiatore del film) che, col suo libro, suscitò nel 1955 un clamoroso scalpore in tutto il mondo.

Esistono almeno tre temi assolutamente tabù per quanto concerne la maggior parte degli editori americani: l’amore tra un quarantenne e una dodicenne; un matrimonio tra negro e bianca o negra e bianco, che sia completamente e luminosamente fortunato e dia luogo a un gran numero di figli e nipoti; l’ateo completo che conduce un’esistenza serena ed utile e muore all’età di centosei anni. (Vladimir Nabokov)

Se ai giorni nostri la fotografia dell’editoria (e della società) americana concepita dal professore russo Vladimir Nabokov può essere considerata relativamente obsoleta riguardo matrimoni misti e ateismo, di certo è attualissima nei confronti di un amore anagraficamente distante...

Il professor Humbert Humbert (James Mason) rimane folgorato - non chiude nemmeno le palpebre per alcuni interminabili secondi alla vista della piccola, “innocente”, Lolita (Sue Lyon) - dalla figlia dodicenne della vedova Charlotte Haze (Shelley Winters), sua nuova padrona di casa, prima, e, sua nuova moglie, poi…

Proprio sugli occhi neri incantati, sullo sguardo curioso e vorace di Humbert, concentra la sua attenzione la macchina da presa di Kubrick: ogni inquadratura sottolinea questo bisogno incessante di guardare, di “toccare” l’oggetto della passione del professore. Questo, infatti, fu l’unico espediente che il metteur en scène statunitense poté impiegare, aggirando la censura, per alludere alle scene erotiche e per far crescere la morbosità del sentimento.

Non una semplice infatuazione o innamoramento, ma un vero e proprio delirio mentale che divora, acceca e s’impossessa del goffo protagonista fino a condurlo a commettere un omicidio, quello del suo antagonista in amore, il suo alter ego Clare Quilty (Peter Sellers, protagonista del successivo capolavoro kubrickiano Dottor Stranamore).

Un’opera a tratti espressionistica, in cui l’innocenza del bianco e nero stride con la scabrosità del soggetto, l’asetticità e lo squallore degli ambienti, che siano camere di motel o ospedali.
Sensualità, satira e umorismo nero fanno da padroni in un film che in parte fu rifiutato dallo stesso regista, a causa della mancanza di esplicite scene erotiche, e dallo stesso sceneggiatore che sul grande schermo ritrovò solo l’ossatura del suo scritto.