Una storia che si svolge tra Amburgo e Berlino e coinvolge un misterioso fuggitivo, un banchiere inglese, una giovane avvocatessa e il capo di un'unità segreta di spionaggio tedesca. Melik Oktay è un boxeur di talento, è musulmano e vive con la madre, immigrata turca, ad Amburgo. Una fede e un'origine, quelle sua e di sua madre, che pesano come un macigno dopo l'11 settembre. Una sera Melik si imbatte in uno sconosciuto che indossa un cappotto nero che dice di chiamarsi Yssa e di essere un profugo ceceno in cerca di aiuto. Melik e sua madre decidono di aiutarlo non sapendo che il loro gesto scatenerà una catena di eventi che finirà per coinvolgere l'intelligence di tre Paesi. Perché Yssa in realtà è un terrorista ricercato. E' l'ultimo film portato a termine da Philip Seymour Hoffman prima della sua prematura scomparsa, che nel ruolo dell'agente anti-terroristico Günther Bachmann regala la sua ultima grande interpretazione. Action thriller politico che racconta una storia drammatica e intensa è la terza prova alla regia di un lungometraggio per Anton Corbijn, dopo “Control” e “The American”, che porta sul grande schermo, dopo “La Talap” (il film è stato diretto nel 2009 da Tomas Alfredson) un altro romanzo del britannico John Le Carré “Yssa il buono". Firma la scennegiatura Andrew Bovell, tra i cui crediti ricordimo la sceneggiatura di "Fuori controllo". Un cast di grandi nomi che include oltre al "gigante" Hoffman, Willem Dafoe, Robin Wright, Daniel Brühl ("Il quinto potere", "Rush"), Nina Hoss ("Gold". “La scelta di Barbara”) e Rachel McAdams, vista di recente in “Questione di tempo”. A proprosito di Hoffman il regista afferma nelle note che accompagnano il film “'Non saprei da che parte iniziare quando penso a ciò che ci ha lasciato in eredità, che è immenso sia per portata che per profondità. Ma questo già ci dice molto sulle sue scelte. Era il miglior caratterista che io riesca a immaginare, e se si pensa anche solo ai suoi ruoli minori, quelle sole performance lo distaccano dai suoi contemporanei. La sua forza consisteva in un'immersione totale nel ruolo ed in una completa assenza di vanità. Al contempo, odiava ciò che amava, che era la sua maledizione – si faceva a pezzi per le sue interpretazioni”.